Da Il Cielo del 25 agosto 1919:
"A distanza di poche ore, nella stessa Venezia che essi avevano difesa durante la guerra, sono caduti i due insigni aviatori Giovanni Ravelli e Umberto Calvello, di cui la Marina si onorava. Mi sia consentito, io che li ebbi fratelli d'arme, di rievocarli, certo d'interpretare lo stato d'animo della famiglia di piloti ed osservatori che, compostasi nei cieli della guerra, ora è sparpagliata ovunque, in parte smobilitata, in parte ancora sugli aere, ma non obliosa di sè, perché troppo vivida luce trasse dagli anni più azzurri.
Non si può asserire che Ravelli e Calvello siano stati colti alla sprovvista dalla tragedia, in quanto nella loro chiarissima coscienza valutavano i densi, alti rischi del volo; anzi, vigorosamente amavano il volo per la lotta corpo a corpo, minuto per minuto, con le insidie celate nella materia che essi spiritualizzavano, idealizzavano, lanciando l'apparecchio nelle più ardite, eleganti evoluzioni, nei prolungati sforzi.
[...]
Una causa di apparenza altrettanto modesta ha determinato la catastrofe di Umberto Calvello, al quale è mancato il motore mentre effettuava un viraggio stretto in cabrata su un idrovolante di tipo pesante. Da 400 metri scese in vite fino a 140, quota in cui parve riprendersi destando negli spettatori la speranza che Calvello si salvasse. Purtroppo l'idrovolante si impennò di nuovo, girà d'ala su sè stesso, rientrò in vite precipitando verticalmente nella laguna. Il caro Calvello fu rinvenuto ucciso, sprofondato per un metro nel fango.
Umberto Calvello suscita ricordi d'altra indole: era un precoce, un prodigo delle sue energie e delle sue espressioni, era il giovinetto, l'adolescente passato ad un tratto dalla vita goliardica e di famiglia a quella aviatoria e bellica. In tre anni di guerra aveva vissuto come in venti anni di pace, aveva conosciuto stati d'anima nei quali forse mai, in altre forme di vita si sarebbe famigliarizzato. Ufficiale di marina ed osservatore di idrovolanti, in poche settimane del 1917 s'era con fulmineo allenamento trasformato in pilota da ricognizione e poi da caccia, assimilando le virtù dei suoi maestri e dei suoi emuli e formandosi più tardi una vera personalità.
In volo lo si distngueva da ogni altro sopratutto per un tipo eccezionale di viraggio; dopo aver costretto alla linea di volo con tutto motore l'apparecchio, con una decisa manovra di volante e di pedale si sollevava d'ala quasi perpendicolarmente per una durata sensazionale e si raddrizzava allorché lo slancio era giunto al suo massimo rendimento. Ma in ogni manovra recava una perizia che andava sempre oltre la linea consueta adottata dalla maggioranza, senza tuttavia peccare di esagerazione, ma brillando per l'impiego totale d'ogni energia.
Certo ogni supermanovra implicava un rischio perché basata sulla fedeltà del motore, per quanto in caso di avaria, egli fosse abilizzimo con scivolate d'ala e avvitamenti subito interrotti a trarsi d'impaccio. Se l'incidente il quale lo trasse a morte gli si fosse iniziato qualche centinaio di metri più in su, forse Calvello si sarebbe salvato come era riuscito a salvarsi in tanti altri guai: ammaraggi forzati in mare o in barena o nei fiumi fra Venezia e Trieste, il mondo in cui egli signoreggiò, svolgendo i suoi cento e più voli con una foga che alla partenza e al ritorno coloriva di vermiglio il suo volto femmineo, che dava alla sua parlata fiorentina un calore, una sostanza nervosa, incisiva.
Il volo di guerra era per lui una festa. Mi invitava a parteciparvi come si trattasse di un gaudio: caccia ai draken, caccia agli aerei crociati, scorta ai bombardieri, scorta ai fotografi. I combattimenti da lui sostenuti insieme allo storno di Orazio Pierozzi, ai prodi della Stazione Miraglia, egli li faceva rivivere ai colleghi, agli uomini di manovra con frasi mozze ed incalzanti, sovrapposizioni di concetti: la forza rievocatrice correva più veloce della parola. Il racconto terminava con propositi più fieri, più gagliardi per il successivo combattimento: sfruttare più avilmente certi difetti di apparecchio e di pilotaggio del nemico, trascinare gli stormi avversari in un cielo più prossimo a Venezia per assicurare la cattura dei trofei di guerra e dei prigionieri.
Egli non aveva neppure lontanamente una vocazione barbara di guerriero: oltre la figura slanciata, le guancie delicate, gli occhi sognatori, aveva delicatezze di fanciulla, sensi squisiti di cameratismo, ghiottoneria di monello. Sia consentito un ricordo d'indole persino infantile. I suoi compagni di guerra, gli erano pure complici di furto nell'orto dietro gli hangars, orto vulnerato da pertugi nelle siepi, pertugi che egli rivelava con finale distruzione di uva e fichi. E la scorpacciata riempiva l'intervallo fra un volo e l'altro, fra un allarme e una scorta. Così con la bocca ancora dolce di refurtiva, si correva sul Piave.
Calvello asseriva che mai avrebbe lasciato l'aviazione: l'amava troppo e amava la superiorità indiscussa che gli ammiravano i colleghi. Il volo era divenuto un piacere per lui e per coloro che l'osservavano. Doveva in questi giorni rappresentare l'idro-aviazione nostra all'esposizione di Amsterdam: vi avrebbe portato il fulgore della sua maestria, delle sue cinque vittorie in combattimento e delle sue tre decorazioni al valore. A ventidue anni è sparito brutalmente, quando tutto in lui era fervore per recare in cieli stranieri il nome d'Italia."
Otello Cavara
Miei carissimi genitori,
ancora due giorni e poi partenza per l'Olanda. Come vi dissi già nella mia inviatavi a mano, sono stato destinato ad Amsterdam con una missione aviatoria italiana. Son dietro a fare i bagagli e dato che non so quando farò ritorno invierò costì un baule con la roba che non mi occorre portarmi in Olanda. V'invierò pure in fagotto a parte biancheria vecchia che potrete usare per i piccoli. L'altra roba lasciatela da parte per il mio ritorno. Non state a preoccuparvi della mia partenza, cercherò come sempre essere prudente e vedrete che tornerò a voi presto. Dato il gran lavoro di questi giorni non mi è stato possibile avere qualche giorno di permesso per venirvi a salutare. Attendo vostra risposta alla mia inviatavi a mano. Per qualche giorno non scrivetemi e dopo aver saputo della mia partenza indirizzate la vostra corrispondenza al Consolato italiano di Amsterdam (Olanda) per il S. Ten. di Vascello Calvello ecc. (Missione aereonautica R. Marina). Prima di partire vi riscriverò. Dato che credo ci pagheranno benino spero al ritorno darvi le quote mensili saltate. V'invierò se mi sarà possibile anche del formaggio Olandese che gode la fama di essere speciale. Per sapere mie notizie cercate leggere tutte le sere il "Corriere della Sera" perché spesso riporterà resoconti dei nostri voli e vi sarà anche l'annuncio della nostra partenza. Non portatemi rancore se ho accettato far parte di detta missione, ma se ho accettato è stato primo perché mi piace andare all'estero ove s'imparano tante cose, poi perché non andrò a Pola, poi perché se mi hanno scelto significa che mi stimano per un ottimo pilota e poi perché io son della teoria che l'ardire e la fortuna vanno insieme. Vi scriverò domani o dopo e vi telegraferò anche mia partenza. Baciatemi tutti di casa sentitamente Mario ed Elma e riscevete mille affettuosi bacioni dal vostro Umberto.
Venezia 8/8/19